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Ridurre in pillole un fenomeno tanto diffuso ed in emersione quale quello oggi in esame appare come un’impresa epica, ma i fatti che avvengono quasi quotidianamente, riportati e diffusi dalla stampa quando giungono alle più estreme conseguenze, dovrebbero funzionare quantomeno come un continuo richiamo alle coscienze individuali e pubbliche della necessità di agire in merito.

Detto agire non può che avere carattere multidisciplinare, multifattoriale, multiprofessionale, multi-aspetto e multi-canale, poiché queste sono le caratteristiche del fenomeno ed i piani d’azione necessari. Con il presente contributo si tenterà, pertanto, di dare un primo inquadramento giuridico, sociale e culturale utile all’utenza per conoscere e riconoscere i lineamenti della violenza di genere e, per quanto più specificamente d’interesse, della violenza nelle relazioni – anche familiari, punto d’osservazione privilegiato del presente servizio di consulenza.

La prima necessità che si propone è, pertanto, definitoria. Cosa si definisce con la locuzione ‘violenza di genere’? Cosa è ricompreso nel genus della violenza nelle relazioni e quante species di violenza vi si possono individuare?

In merito, ad oggi non vi è una definizione univoca ed esaustiva del fenomeno e certo la molteplicità di punti di vista dal quale può essere osservato ed affrontato (antropologico, culturale, sociale, criminologico e giuridico) sotto questo profilo non aiuta, ben potendo offrirsi una definizione generica non completamente sovrapponibile alla definizione giuridica.

L’espressione violenza di genere non trova, infatti, una compiuta definizione sul piano del diritto nazionale, essendo più che altro ivi ricondotta a sottocategorie specifiche (violenza contro le donne, violenza domestica, …), mentre si affaccia sul panorama internazionale già dal 1995 con la Conferenza di Pechino per approdare alla definizione datane dalla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall’Italia nel 2013.

Nell’accezione più generale possibile e semanticamente corretta, la violenza di genere, forma di discriminazione e di violazione dei diritti umani e fondamentali, abbraccia il ventaglio di condotte aggressive e violente – fisiche, psicologiche, emotive, affettive, economiche…- poste in essere da un soggetto nei confronti di un altro soggetto in ragione del suo genere d’appartenenza (concetto reso forse maggiormente evidente dall’espressione gender based violence), intesa non solo come appartenenza sessuale biologica ma come appartenenza ad una determinata identità di genere o espressione di genere.

Detta puntualizzazione apparentemente banale è diretta ad evidenziare come la vittima della violenza di genere possa essere donna, uomo, eterosessuale, omosessuale, transessuale, transgender…

Detto genus può essere poi maggiormente definito volgendo lo sguardo alle circostanze in cui è perpetrata – in tempo di pace o in tempo di guerra -, all’elemento oggettivo della (o delle) condotte attraverso le quali si manifesta, al bene colpito da detta condotta (integrità fisica, psichica…), alla relazione eventualmente intercorrente tra agente e vittima, … ed oltre dal generale al particolare.

Come è stata doverosa detta premessa è altrettanto doveroso sottolineare che, tanto per il percorso storico e normativo che ha portato all’individuazione ed allo sviluppo di detto concetto, quanto per il cammino culturale e sociale (e giuridico) ancora in evoluzione, soprattutto relativamente al riconoscimento dell’esistenza di identità sessuali altre rispetto alla biologica ed alle nuove tipologie di legami, quanto per ragioni più squisitamente di pura teoria del diritto, quanto, infine, per l’innegabile dato statistico che vede una predominanza del binomio uomo-autore/donna-vittima della violenza di genere (un terzo delle donne ha subito almeno un episodio di violenza nell’arco della vita), sia a livello nazionale che internazionale i piani definitori si sovrappongono e si confondono, e così ritroviamo sia nel vocabolario che nelle Convenzioni internazionali che nelle leggi nazionali riferimenti quasi esclusivi alla violenza di genere come violenza contro le donne, sulla quale si è concentrata la produzione normativa e la rivoluzione socioculturale.

Violenza contro le donne è ogni atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato, o che possa avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne includendo la minaccia di questi atti, coercizione o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano nel corso della vita pubblica o privata… ” (Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne – ONU 1993), ripresa poi, tra le altre, in sede di Conferenza di Pechino (1995) e dalla Convenzione di Istanbul del 2011 (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica) ai sensi della quale per violenza nei confronti delle donne  si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata; per “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini; per “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato e con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni. Fino alla (impropriamente) cosiddetta Legge sul Femminicidio (D.L. 14 agosto 2013, n. 93 – Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonche’ in tema di protezione civile e di commissariamento delle province – convertito con modificazioni dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119), alla quale si riconosce, sul piano in esame, di offrire una definizione di ‘violenza domestica’ e ‘violenza assistita’ (sulle quali torneremo oltre) e che utilizzo come pretesto per richiamare la definizione di ‘femminicidio’ offerta dal vocabolario Devoto-Oli “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.

Fermando a questo punto l’approfondimento definitorio, che potrebbe di per sé costituire oggetto di separato contributo, si volge lo sguardo verso cosa in questo contesto costituisca ‘violenza’, con quali contenuti sia possibile riempire detto concetto, tenendo ben presente da un lato l’autonomia ma la stretta interconnessione e combinazione tra le varie tipologie di violenza e dall’altro il fatto che trattasi di concetto necessariamente elastico, in perpetua evoluzione in conformità al mutare della società e della cultura, del sentire individuale e collettivo (inviterei in merito a sfogliare codice penale e codice civile di una manciata d’anni fa…).

avv. Maddalena Bosio

Luglio 22, 2016

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