Nelle varie interviste pubblicate in questi giorni riguardanti i risvolti psicologici che l’attuale situazione di emergenza sociale può causare alla popolazione, viene messo in risalto il fattore legato alle limitazioni della libertà personale come un fattore di rischio, che può essere alla base di un disagio generale legato a questa condizione, trascurando quella che è la minaccia molto più evidente e che dall’osservatorio del Consultorio Familiare Udinese, che personalmente dirigo, constato quotidianamente in questo periodo.
Non sono le restrizioni al libero movimento che rappresentano il problema più urgente e che la maggioranza della popolazione riesce ad accettare con sufficiente rassegnazione, ma la minaccia più grave e molto più angosciosa è rappresentata dall’incertezza per il domani, quando tutto quello che stiamo vivendo ora sarà finito e dovremo riprendere la vita di prima, che non sarà più la stessa.
È questa prospettiva sostanziale a sollecitare una paura di fondo che riusciamo a palpare e a rappresentare come angoscia collettiva. È lo stato che precede il panico, quando una persona non dispone più degli strumenti per prevedere quello che sarà il suo domani, la perdita delle sue fonti di sicurezza che non consente di disporre di prospettive certe nel suo futuro prossimo.
Ci siamo accorti che dopo l’iniziale falsa euforia, quando c’era chi si affacciava al balcone per cantare l’inno nazionale, ora anche quel gesto scaramantico si è affievolito, ognuno si è ritirato in buon ordine e vive in uno stato di isolamento, che non è solo quello fisico, ma quello psicologico, molto più grave perché anticipa una risposta depressiva, la caduta della speranza e rappresenta la rassegnazione ad uno stato di perdita a cui non ci si può opporre. Ci siamo accorti che dopo l’iniziale ricorso massivo agli scambi mediatici utilizzando i vari strumenti social di cui una persona dispone, ora prevale nella maggioranza l’apatia e non si ha neppure voglia di ascoltare gli altri, di sentire come stanno per trovare consolazione e incoraggiamento.
È la condizione di ritiro in cui ognuno vive dentro la propria tensione, si assesta regressivamente dentro il proprio involucro, si predispone ad affrontare il nemico invisibile, che non sarà più il Coronavirus, ma che è un nemico altrettanto invisibile e molto più prossimo, l’incertezza di quello che sarà il domani, non avendo più le sicurezze di quello che c’era.
Magari, e speriamo bene, non sarà così, ma l’ansia anticipatoria che si coglie credo che sia legata a delle aspettative che irrompono nel nostro pensiero e si legano alle ataviche paure di ognuno, di non ritrovare più ciò che è noto e che è sempre stato fonte di rassicurazione, proprio perché certo.
Vorrei lanciare in grido d’allarme per la condizione dei bambini, specie per i più piccoli, quelli che non sono ancora in grado di dare un senso a quello che sta accadendo. Hanno davanti agli occhi una situazione sconvolta, non possono incontrare gli altri bambini o frequentare i luoghi che erano a loro abituali, asili nido o scuole materne, non possono frequentare i familiari, specie quelli più affini e per loro rassicuranti, come nonni o parenti più intimi, o se li incontrano non possono abbracciarli e goderne il contatto, tutto a distanza, come in certe situazioni che ci sono state descritte, dalla finestra di casa o nel migliore dei casi con la videochiamata.
Vogliamo dire che tutto questo rappresenta una situazione traumatica che irrompe nella vita di questi piccoli, senza che ci siano parole sufficienti per far capire loro quello che sta accadendo e che loro non comprendono.
Questa è l’angoscia che possiamo raccogliere in Consultorio, dove invitiamo i genitori a stare vicini ai loro bambini, anche se non capiscono tutto quello che sta succedendo o lo capiscono nel loro modo, ma possono sentire degli adulti che si prendono cura anche delle loro paure, che sono preoccupati per loro e che si riflettono nel loro disorientamento standogli vicini e rassicurandoli che loro ci sono e che continueranno a proteggerli.
Aprile 28, 2020